mercoledì 9 luglio 2008

Sega Mentale #1: considerazioni varie ed elucubrazioni assortite...

Era un pezzo che non scrivevo su queste pagine.
Purtroppo tra impegni di lavoro (anche se ahimè d'ora in avanti saranno minori causa contratto non rinnovato) e progetti professionali personali, ho dovuto dedicare molto poco tempo ai miei hobby preferiti.

Non accendo una console ormai da più di due settimane: nel poco tempo che trascorro a casa, ho preferito portarmi avanti con alcuni lavori arretrati e, così, ciao ciao videogames!

Però, nel tragitto casa-lavoro, tra le note di Radiogame, mi sono ritrovato a riflettere su alcune cose inerenti il mio hobby preferito, anzi la mia passione.

E nasce così una nuova rubrica di My Games Corner: Sega Mentale...

* * *

Prima del grande rush di questi 15 giorni, avevo tirato fuori dal ripostiglio e dal garage l'Atari 2600 e il Commodore 64.

Con amore e pazienza ho pulito per bene le console e gli accessori, le cassette, le cartucce e gli alimentatori. Mentre passavo il panno per togliere la polvere, mi sono tornati in mente i momenti sereni di quando un HellCiccio di 7 anni si trovava nella sua cameretta alle prese con orde di alieni o quant'altro.

Con gli occhi lucidi di un quasi 27enne prossimo, se Dio vuole, ad entrare definitivamente nell'età adulta, mi sono reso conto di essermi riappropriato di una parte di me che stava nascosta in un angolino della mia coscienza.

Come uno scemo, mi sono trovato davanti allo schermo del televisore, intento a sparare contro i marziani di Space Invaders, con un sorriso tanto sulla faccia, mentre evitavo i colpi nemici e cercavo di colpire l'ufo che passa ogni tot minuti in alto...

Mi sono reso conto che oggi, come 20 anni fa, quel concept di gioco è ancora validissimo. Si perchè la prima cosa che deve fare un videogioco è divertire. E Space Invaders mi ha reglato bellissimi momenti.

Forse è cambiata la consapevolezza, la maturità dell'HellCiccio odierno, ma quella magia, quell'intensità non è svanita.

Il gioco come momento ludico, anarrativo, caratterizzato da una certa ridondanza: Space Invaders non finisce mai, se non quando fai Game Over.

Lo stesso si può dire di una marea di titoli usciti in quegli anni.

Dopo l'epoca Atari la cosa cambia.
Oggi siamo arrivati al punto che terminare il gioco sia quasi un atto dovuto al player: se spendo 60 euro voglio arrivare in fondo.

Salvataggi, punti di ripristino, rewind, continue, crediti, ecc...

E' cambiato completamente il punto di vista.

Il gioco diviene una storia, un discorso, per dirla semioticamente, caratterizzato da una narratività profonda ed estrinseca: il player è un attore che veste i panni di un personaggio ben definito (quasi sempre) con un proprio carattere, un proprio ego virtuale, propri obiettivi ed aspirazioni.
Di più: il videogame è, spesso, un ipertesto, collante di meta-discorsi differenti che, insieme, compongono una struttura narrativa complessa, nella quale gli attanti si ritrovano a passare attraverso ruoli e funzioni differenti (automobilisti e pedoni, cacciatori e prede, vittime ed assassini).

Prendiamo in esame i giochi della generazione Space Invaders.
La narratività, seppur limitata a concetti molto sintetici e semplici, è presente a livello superficiale: la navetta x combatte per difendere il pianeta y dagli alieni z.

Ma nessuno ci narra chi è dentro la navetta. Perchè si trova lì, o chi sono gli alieni (Marziani? Venusiani? Mostro orrendo che viene dallo spazio profendo... mai trovata la fonte di questa TGMiana citazione) e perchè attaccano? Siamo sulla Terra?

Tutto è lasciato (volontariamente o meno) alla fantasia del giocatore, che si sente maggiormente immerso nell'azione: attore e attante coincidono perfettamente, la narrazione in itinere è il medesimo flusso di pensieri prodotto dal giocatore.

Forse è qui che si nasconde quella magia che provavamo in quegli anni.

Oggi è il gioco stesso che ci conduce per mano alla sua conclusione, fatta di titoli di coda, credits chilometrici e canzoni torcibudella: cinema e videogioco tendono sempre più a sovrapporsi.

La fantasia del game designer si sovrappone a quella del player e l'appagamento che si provava nel fare il massimo dei punti o di completare quanti più quadri possibili prima che la velocità del gioco e la sua difficoltà raggiungessero livelli disumani, lascia il posto all'aspettativa attesa o disattesa nel giocatore una volta comparata l'esperienza reale gioco a quella virtuale avvenuta nelle discussioni sui forum o nell'atto del leggere le recensioni on-line o su carta che siano.


Tutto questo per dire che oggi si producono brutti videogames? Assolutamente no.

Di certo la prospettiva è un pò mutata: l'approccio al gioco è meno ludico, forse, e più narrativo, anche se non è un assoluto categorico (basti pensare alla nuova ondata di puzzle games e shoot 'em ups presenti sul mercato).

Forse, citando e concordando con il Galla, viene a mancare il concept nella sua originalità. Che siamo entrati nell'era delle minestre riscaldate?

Forse la risposta la troviamo nelle parole del personaggio interpretato da Tom Sizemore nel film Strage Days, che, tra l'altro vi consiglio caldamente di guardare: potreste trovarci interessanti spunti di riflessione sul rapporto tra reale e virtuale, critico e ludico, morale e immorale.

Tutto è stato già fatto [...]

7 commenti:

Giuseppe Scaletta ha detto...

Quando si parla di elucubrazioni, entro in gioco io, a maggior ragione se sei parla degli amati videogiochi :-)
Condivido appieno i tuoi pensieri; ogni tanto fa bene tornare alle origini e divertirsi perché sì, non servono necessariamente quintali di fullmotion o 3D per godere di un sano pomeriggio videoludico.
Però mi permetto di porre la domanda: se avessero voluto, avrebbero infarcito, a quei tempi, i videogames di artefatti narrativi?
Forse semplicemente non avevano i mezzi. Come avrebbero potuto con 16 colori e 2 canali audio?
Comunque sono convinto che oggi giorno valga la pena di tanto in tanto giocare un bel shot'em'up nudo e crudo: poca trama e tanta adrenalina. Oppure un ottimo Track'n'Field ad ammazzarsi sui bottoni!
Ciao.

Boh ha detto...

Sicuramente il comparto tecnologico ha avuto il suo peso. Ma si tratta anche, a mio avviso, di un tipo di approccio al videogioco che cambia radicalmente, seppur attraverso un processo non velocissimo, basti pensare alle prime avvisaglie di una narratività più profonda già con alcuni titoli per C-64: Myth se vogliamo aveva già una gran componente narrativa, per non parlare poi di Robin Hood...

Giuseppe Scaletta ha detto...

Ma sì, è il periodo di Zak McKracken e dell'inizio dell'avventura grafica. Già a quel punto sul C64 si poteva fare.
Mettiamola al contrario: adesso è "troppo facile" buttarsi nella narrazione con l'aiuto di musica orchestrale e fullmotion. No?

Alessandro "Il Notturno" Perlini ha detto...

Io scrivo e analizzo con la semiotica (tra qualche giorno inizierà giusto giusto la pubblicazione di una mia tesina di Semiotica dei Nuovi Media incentrata suglia RPG) e quindi questa narrativizzazione mi "serve", eccome! Ma non disdegno nulla, e bisogna avere una mente aperta per poter apprezzare il mondo della narrazione videoludica anche con gli occhi di un giocatore d'altri tempi.
I giochi di ora non sono brutti, e la storia del concept forse è solo una sterile scusa per il fatto che all'inizio tutto sembra nuovo e ora dopo 30 anni tutto sembra "minestra riscaldata"...
Non tutte le narrazioni sono ottime, ma per me il videogioco è anche testo (definizione semiotica) e il testo non è certo dato solo da quello.
E' difficile da spiegare...
Comunque è un ottimo post di ragionamento, non male.

Boh ha detto...

Tant'è che il mio post non vuole affossare i nuovi giochi, anche se forse il discorso delle minestre riscaldate forse è più vivo oggi che mai. Più che altro è la constatazione di un approccio al gioco differente...

Alessandro "Il Notturno" Perlini ha detto...

Posso approfittare di queste righe per farmi un po' di pubblicità?
E' iniziata la pubblicazione online della mia tesina di Semiotica Di Nuovi Media, dal titolo "Proceduralità, protesi e interazione nei giochi di tipo RPG: Analisi di quattro Sottogeneri".
Si parla di approcci narrativi al videogiocatore attraverso le figure dei Personaggi Non Giocanti per mezzo delle protesi e delle tecniche semiotiche di Embrayage, senza escludere altre piccole minuzie semiotiche, in 4 titoli dello stesso genere (RPG) ma molto diversi: Diablo, serie di The Legend Of Zelda, Final Fantasy VIII e serie Pokèmon.
Ho pensato che potrebbe interessare anche a voi!
Per ora sono online solo l'introduzione e il primo paragrafo ma sarà messa tutta online a puntate!
Vi ringrazio per la cortese attenzione sperando che il mio operato vi vada a genio, linkando il sito:

www.cyberludus.com

(Sito per il quale scrivo anche abitualmente recensioni videoludiche, retroludiche e non solo)

Anonimo ha detto...

Caparezza - Abiura Di Me