mercoledì 1 ottobre 2008

Wandering Stars...


Nella "carriera" di un videogiocatore, si incontrano spesso giochini simpatici e divertenti che ci regalano qualche ora spensierata e niente di più.

Meno spesso ci si imbatte in titoli mastodontici che, con il loro spessore, la loro elevata qualità tecnico-artistica, lasciano in noi un segno, ci cambiano per certi versi, sicuramente rimangono ancorati ai nostri ricordi e alle nostre emozioni.

Soprattutto chi vive la passione per i videogiochi da qualche annetto, non potrà non emozionarsi pensando a grandi titoli del passato più e più citati all'interno di questo mio piccolo blog.

Ma quelli che riescono a sfuggire alla trappola dell'elitismo retrologico o, meglio, coloro i quali riescono a vivere con serena oggettività sia il passato che i sistemi più recenti, potranno gioire dello stupore e dell'infantile (in senso buono) meraviglia suscitata da alcuni grandiosi titoli usciti solo pochi anni fa, ma già a pieno titolo collocati tra le pietre miliari di tutti i tempi.

Nello specifico, tra i vari titoli che meriterebbero una menzione, vorrei soffermarmi su una coppia di splendidi giochi usciti per Playstation2, nel 2001 e nel 2005 ad opera di SCE e, nella fattispecie del maestro Fumito Ueda, ICO e Shadow of the Colossus.

* * *
C'era una volta un villaggio.
Questo villaggio viveva prosperoso: i raccolti abbondanti garantivano una vita tranquilla e inverni non troppo rigidi.
Il tempo scorreva uguale a sè stesso, come l'acqua di un ruscello in estate.
Poi un giorno, un brutto giorno per gli abitanti del villaggio, nacque un bimbo.
La nascita di un bimbo può essere considerata una brutta cosa? Vi starete chiedendo, ma questo bambino non era come gli altri: sulla sua fronte torreggiavano due corna.
Secondo le leggende del villaggio, i bambini nati con le corna sono presagio di sventura: il raccolto andrà a male e la carestia si abbatterà su tutto il villaggio! Come fare ad impedirlo?
La risposta giace in una spada. Non una spada come le altre, però: questa ha il potere di aprire una porta, una porta speciale, di un posto speciale: un castello dove confinare il piccolo Ico, questo il nome dello sfortunato bambino, un castello dove abbandonarlo e restituire la pace e la prosperità al villaggio...

Questo potrebbe essere l'incipit di una bellissima fiaba, di come un bambino coraggioso riuscirà a fuggire dal Castello in cui è prigioniero, portando con se una piccola, delicata e bianca fanciulla, Yorda, che incontrerà nella sua prigionia.

ICO non è un gioco come gli altri: non è un platform, non è un adventure, o perlomeno non è solo questo. Già il nome del protagonista ci richiama alla mente il termine "icona". In effetti nel gioco si respira un'atmosfera mistica fin dalle prime battute: paesaggi fatati, una natura viva e pulsante, ma al contempo silenziosa e, in effetti, il silenzio regna anche nel castello, dove il vento, lo scorrere dell'acqua e l'eco dei passi e della voce di Ico, sono la colonna sonora perfetta per uno dei massimi capolavori concepiti e realizzati per la console di casa Sony.
La grafica, sublime e maestosa, ci regala scorci e visioni di una natura incontaminata e di un castello sì in rovina, ma anch'esso quasi vivo, pregno di magia e mistero, nel suo silenzo e nella sua ineluttabile imponenza: una prigione di roccia ed erba che ci comunica una quiete, una pace quasi innaturale.
Tale pace viene rotta quasi subito dopo aver incontrato questa misteriosa fanciulla, Yorda, pallida come un chiaro di luna, che parla una lingua misteriosa: chi è? Perchè è imprigionata, ma soprattutto perchè dove passa lei, vengono fuori ombre inquietanti che la vogliono rapire e inghiottire nella loro oscurità?

L'esperienza di gioco è incredibile: niente menù, niente inventario nè barre di energia. L'immedesimazione è totale e spesso si sentirà il viscerale bisogno di proteggere Yorda a tutti i costi, di prenderla (letteralmente) per mano (nel gioco è possibile farlo, oltre che impartirle dei semplici ordini) e trascinarla lontano dalle ombre, aiutandola a superare le sue, e le nostre, paure per oltrepassare quell'ostacolo tanto terribile, ma tanto necessario da superare.

Dunque Ico è prima di tutto un'esperienza da vivere con lo stupore e la meraviglia che ci hanno accompagnato nella nostra infanzia, quando i nostri genitori o i nostri nonni ci raccontavano le favole della buonanotte: perchè Ico è soprattuto una fiaba, un luogo meraviglioso dell'immaginario dove il bene è puro e il male è nero e il confine è netto come un taglio di spada, dove la magia è tangibile, dove un piccolo bambino può cambiare un mondo e sovvertirne le regole, dove una fanciulla può ancora contare sull'aiuto e il coraggio di un amico prezioso che, tutto l'impegno e la dedizione, sarà pronto anche all'estremo sacrificio.


Non da meno è Shadow of The Colossus.
Ambientato, pare, alcuni millenni prima di ICO, questo titolo ci immerge in un'ambientazione da sogno, fatta di lande desolate, deserti, brughiere, montagne e laghi: luoghi incontaminati che non sembrano aver mai conosciuto la civiltà, se non per alcune rovine misteriose e suggestive che, tuttavia, ci dicono che quei luoghi sono stati abbandonati dall'uomo da tempi remotissimi.

L'inzio del gioco vede il protagonista, Wanda (che sia un'errata traslitterazione della parola inglese wanderer, ovvero viaggiatore?) che, in sella al fedele destriero Agro, attraversa una natura impervia e immersa in un'aria mistica, per poi attraversare un meraviglioso ponte di pietra ed entrare in un misterioso tempio.
Qui egli depone il corpo esanime di una bellissima fanciulla e si affida ad una misteriosa divinità per ottenere la restituzione della sua vita: in cambio Wanda dovrà abbattere dodici colossi, ognuno dei quali sembra essere il guardiano o il sigillo di una misteriosa forza magica.

Il prezzo da pagare, tuttavia, per l'uccisione dei colossi sarà grande, tale è l'ammonimento della divinità. Ma la forza dell'amore è grande in Wanda e ciò gli infonde il coraggio di affrontare il proprio destino: tutto pur di riportare in vita la sua amata.

Cambia il gioco, cambia la prospettiva: mentre Ico era un bambino, e la storia aveva quell'alone di magia e meraviglia tipica delle fiabe, Wanda è un giovane adulto (innegabile il parallelismo estetico tra Wanda-Agro e Link-Epona) e la storia è ricca delle contraddizioni e dei dilemmi morali tipica dell'età post-adolescenziale.
Male e bene assumono confini più sfumati, subentra il senso di responsabilità (nelle mani di Wanda c'è la vita della sua amata), nonchè del rapporto con il divino (o anche con il demoniaco se vogliamo).
Ciò che Wanda si accinge a fare è bene o male? I colossi sono malvagi o proteggono qualcosa di inviolabile?
La risposta la troverà solo chi avrà la dedizione di completare il gioco, perchè non mi sento di svelare null'altro ai miei lettori (no fuckin' spoilers direbbe qualcuno).

Però voglio soffermarmi su un aspetto, ovvero la meccanica del gameplay: nel gioco si dovrà cavalcare per miglia e miglia immersi in una natura assolutamente priva di qualunque riferimento alla vita umana, tranne che per pochi resti di costruzioni misteriose, seguendo il riflesso del sole sulla spada, fino al colosso da abbattere.
Il silenzio ultraterreno che ci circonda durante i nostri spostamenti, il solo rumore della natura e degli zoccoli di Agro, ci daranno molto tempo per pensare, riflettere, magari anche a qualcosa che non sia attinente all'immediata esperienza videoludica in atto.

Qualcuno ha molto criticato questa cosa: tra un colosso ed un altro ci si annoia? Non ci sono sub-quests? Insomma tutto si ridurrebbe a trova il colosso, trova il punto debole, ammazza il colosso?
La riposta è no.
No perchè, se giocato nella giusta atmosfera, Shadow of the Colossus offre una immedesimazione quasi totale: siamo noi che stiamo cavalcando in quel momento, siamo noi che, con il flusso dei nostri pensieri, lo stupore per la bellezza del paesaggio, il timore del non sapere cosa ci aspetta una volta giunti a destinazione, riempiamo di contenuto le fasi di spostamento.

Giunti al Colosso avviene un notevole cambiamento: la musica si fa epica, orchestrale, incalzante ed adrenalinica.
Il mostro riempie agevolmente lo schermo, rendendoci minuscoli come una pulce da scacciar via, mentre Agro fugge nitrendo terrorizzato.

Allora tutto si concentra su come salire sul Colosso, come sfruttare ogni singolo appiglio per giungere finalmente al punto debole e trafiggerlo con la spade.
Il respiro si fa ansante, la fatica rende debole la presa, mentre il mostro fa di tutto per scrollarci di dosso.
Una sensazione di indescrivibile meraviglia ci pervade mentre osserviamo questa gigantesca meraviglia partorita dalla più fantasiosa delle leggende muoversi, correre, scartare, impennarsi nel tentativo di salvarsi la vita, nel tentativo di uccidere il suo uccisore.
E una volta abbattuto il mostro, almeno una volta, ci chiederemo "ma sto facendo una cosa giusta?".

I mostri sono sì spaventosi, ma non trasudano malvagità, come in altre iconografie fantasy: ma allora siamo noi i paladini della giustizia, o dei semplici bracconieri? Siamo dei giustizieri o dei cacciatori?

Il dubbio ci resterà fino all'ultimo colosso, per poi dissiparsi nell'emozionante, splendido e spiazzante finale: solo allora ci renderemo conto che siamo di fronte ad una specie di premessa a ICO.

Anche Shadow the Colossus è un grande capolavoro non solo per grafica e concept, ma anche per quella capacità di farci trattenere il fiato e, soprattutto, di farci pensare e riflettere su cose da cui, di solito, un videogioco tende a distrarci...

Dubito fortemente che in futuro assisteremo ad altri fenomeni videoludici di questo tipo, viste le recenti tendenze della next-gen, ma voglio essere grato a Ueda per avermi regalato momenti intensi ed emozioni forti e inattese con questi due grandissimi capolavori.



E per concludere vi lascio con una chicca trovata mentre ero a caccia di immagini per il post: Shadow of the Colossus meets We Love Katamari!!!




2 commenti:

Valerio Mastrangeli ha detto...

Ico è qualcosa di sensazionale. L'ho visto anni fa a casa di un mio carissimo amico, un videogioco fantastico!!

armandyno ha detto...

Grande Hell, hai colto esattamente la sensazione straniante di non sapere esattamente se essere un paladino della giustizia divina o uno una pedina di un essere malvagio.

E'proprio questa sensazione straniante, onirica, surreale che rende SOTC un grande capolavoro.

Senza atmosfera, non c'è narrazione.